La metodologia Humanitude: persone da incontrare

Intervista a Cristina Villa, formatrice Humanitude per l’Italia.

  • La metodologia Humanitude: ci può raccontare in che cosa consiste?

Humanitude è una metodologia e filosofia di cura. Risponde alle richieste sempre più pressanti di operatori del settore, familiari, badanti, assistenti privati, volontari che desiderano/necessitano di sviluppare una relazione efficace con le persone di cui si prendono cura.

Il nostro motto è: in Humanitude non ci sono più corpi da lavare, da vestire, da imboccare…ma persona da incontrare!

Humanitude è la metodologia di cura che avvicina il curante al curato in una nuova relazione. Fornisce strumenti concreti e immediatamente utilizzabili per affrontare senza sforzo le difficoltà quotidiane dell’accudimento e dell’assistenza: in questo senso, getta un ponte ideale tra esseri umani per riconoscersi e accettarsi come tali.

  • Quali sono i principi cardine della metodologia?

I principi sono racchiusi in questa immagine [si veda “Metodo Humanitude: come migliorare la qualità della vita nelle case di cura”].

Humanitude

Gli strumenti base sono i 4 Pilastri Humanitude:

– lo Sguardo,

– la Parola,

– il Tocco,

– la Verticalità.

I primi tre sono di tipo Relazionale, il quarto è Esistenziale/dell’Identità. L’approccio all’anziano fragile, dipendente, in particolare affetto da deficit cognitivi quali la Demenza Senile/Alzheimer è il focus della metodologia Humanitude.

La corretta relazione sostiene il “lavoro” quotidiano del caregiver. Le tecniche metodologiche apprese diventano rapidamente utilizzabili, con adeguato training, 365 giorni l’anno. Tra queste La Cattura Sensoriale®, La Manutenzione Relazionale®, la Toilette Valutativa®, strumenti specifici di Humanitude con marchio registrato. Questi strumenti sono dedicati al personale delle strutture e, diversamente declinati, ai caregiver privati.

  • Quanto è diffusa in Italia? E in Europa?

In Italia, abbiamo iniziato nel 2015 con un primo corso presso l’istituto Geriatrico “P. Redaelli” di Vimodrone (MI). Qui ogni anno vengono formati 12 nuovi professionisti che ricoprono diversi ruoli professionali, a livelli differenti.

Numerosi gli interventi con familiari, badanti, volontari (sia spontanei che appartenenti ad associazioni che operano in campo geriatrico) conferenze di sensibilizzazione, presentazioni a congressi scientifici del settore e un innovativo progetto in un Alzheimer Café della Brianza.

Il nostro obiettivo per il triennio 2017-2019 è di proseguire lo sviluppo su tutto il territorio nazionale.

In Francia, abbiamo iniziato la formazione Humanitude nel 2003 e fino ad oggi abbiamo formato circa 1500 strutture equivalenti alle nostre RSA (Residenze Sanitario-Assistenziali) alcune strutture per disabili e ospedali (reparti di Geriatria, P.S., altro). Abbiamo oggi circa 70 formatori che lavorano sul territorio francese. Siamo presenti anche in Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Portogallo.

Fuori dall’Europa, oltre al Québec (provincia francofona del Canada) dove diverse tecniche della Metodologia sono state sperimentate da neuropsicologi già 30 anni fa, abbiamo una forte notorietà in Giappone e richieste da altri paesi asiatici come Corea del Sud, Thailandia e Cina, oltre che dagli Stati Uniti.

  • Quali sono i risultati per i pazienti?

Grazie a questi nuovi strumenti e modalità di azione è possibile ottenere il consenso del curato all’atto di cura/assistenza (che cresce oltre l’80%) aumentare la soglia di tolleranza del dolore e di tutte le cure altrimenti percepite come sgradevoli, quindi invasive.

I “nuovi atti di cura” consentono di rassicurare e motivare la persona curata a interagire, favoriscono il crearsi di un clima di benessere anche nel personale curante e la valorizzazione dell’atto di cura in sé.

Con una serie di atteggiamenti e azioni precisi e finalmente consapevoli, il curante imprime nella memoria emozionale della persona curata una traccia positiva che, ripetuta quotidianamente, resta presente per lungo tempo. I comportamenti patologici cosiddetti “disturbanti” si riducono così in modo significativo anche nel resto della giornata. Si costruisce in questo modo un “deposito emozionale positivo” quotidiano a cui attingere al bisogno. Ciò ha comportato una conseguente riduzione della somministrazione e del consumo di neurolettici, in alcune strutture dal -75% al -85%, fino all’88%. Inevitabile l’impatto positivo sul benessere di paziente e curante, oltre che sul conto economico aziendale e sulla spesa sanitaria della Comunità.

Il tempo trascorso con la persona, considerato dalla medicina e dall’assistenza sanitaria tradizionale “oggetto della cura” diventa un momento di incontro e di relazione positivo. “Non sono qui per te (assistenzialismo) ma sono qui con te (recupero della relazione a pari livello)”.