Cibo e memoria alimentare

Si dice che “noi siamo quello che mangiamo”. In realtà sarebbe più corretto dire che siamo ciò che ricordiamo di aver mangiato: la memoria del cibo fa parte della nostra identità e influenza a sua volta ciò che scegliamo ogni giorno di mangiare.

Alimentarsi è una funzione biologica vitale, ma al tempo stesso è una funzione culturale e sociale essenziale e mangiare con piacere assolve alla funzione nutritiva ma ha anche ad una funzione psicologia ed emotiva ricca altamente simbolica. Ognuno di noi, infatti, ha sviluppato dei comportamenti rispetto agli stimoli provenienti da ciò che è abituato a consumare, che lo rassicurano e lo premiano nel riconoscimento di ciò che sta mangiando e che mettono in moto meccanismi di accettazione, di piacevolezza o di disgusto e rifiuto.

Gli elementi fondamentali del nostro apprezzamento qualitativo e quantitativo del cibo, sono l’aspettativa che ci facciamo di quello che andremo a mangiare, le nostre abitudini, in altre parole, la nostra memoria alimentare.

I ricordi alimentari, specie quelli d’infanzia, influenzano la scelta dei cibi durante tutta la vita; ecco perché è importante non rinunciare a sapori, profumi e ricordi alimentari specifici, ancora di più se si è anziani e fragili.

E’ importante che alla base della scelta degli alimenti non ci sia solo la praticità e l’efficacia, ma anche la ricerca di sapori che ricordino momenti sereni della vita del paziente e le sue consuetudini alimentari.

I cibi che evocano familiarità e serenità, sembrano in parte diversificati nei due sessi: mentre gli uomini sembrerebbero preferire pasta e carne perché questi cibi richiamano l’accudimento materno, nelle donne sembra che siano i dolci in genere a dare una maggior gratificazione evocando ricordi piacevoli legati alla preparazione dei piatti.

Di fatto, nelle scelte alimentari, ci affidiamo sempre alla rievocazione di qualcosa che ci è piaciuto e ci ha fatto stare bene, mangiando quindi sempre prima con la testa che con la bocca.

È abbastanza comune che gli ospiti che risiedono all’interno delle case di riposo chiedano ai cuochi di cucinare le loro ricette preferite. Si tratta spesso di ricette semplici e tradizionali, alle quali sono particolarmente legati non solo perché ne amano il sapore, ma anche perché sono in grado di rievocare in loro i ricordi più belli della loro vita.

Il cibo diventa quindi il filo conduttore e il legame con un’esperienza molto più ampia, che va al di là del semplice pasto e che abbraccia il vissuto dell’anziano, sostenendo la sua memoria e la sua identità attraverso la condivisione dei suoi ricordi.

Con l’età, però, i sensi si affievoliscono, il numero delle papille diminuisce e l’apparato diventa complessivamente meno sensibile.

In medicina si parla di presbifagia: un processo degenerativo fisiologico che coinvolge tutto l’apparato gustativo. E’ una condizione che, pur non essendo propriamente patologica, espone la persona anziana ad un maggior rischio di malnutrizione o di affezioni respiratorie; questo problema coinvolge dal 40% al 60% della popolazione anziana istituzionalizzata.

Invecchiando, ripercorriamo a ritroso il processo di maturazione, iniziamo ad apprezzare di meno i gusti, compensando questa mancanza con l’apprezzamento visivo dei cibi.

La memoria del gusto, eventualmente compensata dal ricordo della gratificazione procurata dal cibo e dall’aspetto delle porzioni, aiuta l’anziano a nutrirsi adeguatamente e a continuare ad apprezzare ricette che ha sempre assunto e gustato con gioia.

Nelle case di riposo il menù base deve soddisfare i fabbisogni di ospiti con un’ampia gamma di scelta; deve essere vario, appetibile, gradevole alla vista e piacevole al palato degli anziani che ricercano sapori conosciuti e mai dimenticati. Inoltre analoga attenzione dovrà essere dedicata anche alle preparazioni in cui gli ingredienti sono tritati o frullati.

Il compito degli operatori delle case di riposo è, quindi, quello di trovare un equilibrio tra la memoria alimentare dell’ospite e le caratteristiche reometriche e nutrizionali dei cibi che vengono serviti, al fine di facilitare l’assunzione e preservare il piacere e la memoria alimentare, rallentando così nel miglior modo possibile il passaggio alla condizione patologica di malnurizione.