Disfagia e Parkinson
La disfagia (difficoltà o impossibilità di deglutire) rappresenta uno dei sintomi più importanti nei pazienti con Parkinson e nonostante i progressi terapeutici fatti nel trattamento della paralisi agitante essa, causando polmoniti ad ingestis, è una delle principali cause di morte.
La disfagia può svilupparsi in qualsiasi momento durante il decorso della malattia, con frequenza segnalata dal 30% al 82%. Test oggettivi, tuttavia, indicano una frequenza anche maggiore del sintomo disfagia. I pazienti infatti possono essere asintomatici e ignari delle loro difficoltà di deglutizione, fino a quando essa non si fa evidente: si può tranquillamente ammettere che, nelle fasi più avanzate della malattia, tutti i pazienti presentino il sintomo disfagia, sia che tale sintomo venga individuato dalle indagini cliniche e dai disturbi soggettivi lamentati dal paziente sia che lo stesso venga documentato, occasionalmente, dalle indagini che esplorano la funzione deglutitoria.
È stato documentato che circa il 15-20% di pazienti con malattia di Parkinson, pur non lamentando disturbi soggettivi o segni clinici riconducibili alla disfagia, mostrano alle indagini presenza di frammenti di cibo nelle vie aeree. In tali pazienti la severità delle anomalie della deglutizione è in relazione alla durata di malattia di Parkison e la disfagia, come problema clinico, compare, in genere, molto tardivamente, a 10 – 11 anni dall’esordio dei sintomi motori classici.
I modelli più recenti di Parkinson hanno identificato corpi di Lewy nelle aree del tronco cerebrale non dopaminergiche e corticali (zone di controllo della deglutizione). Si suppone quindi che una disfagia subclinica può essere uno dei primi sintomi.
Le persone con malattia di Parkinson possono essere più portate a inghiottire con tempi anomali all’interno del ciclo respiratorio. Ciò rende più probabile inalare cibo dopo l’ingestione, anche quando la deglutizione avviene durante la fase di espirazione. Questa mancanza di un adeguato coordinamento di respirazione e deglutizione è stata proposta come un importante fattore di fondo per la disfagia. Ciò mette i pazienti con malattia di Parkinson nella condizione di un aumentato rischio di aspirazione di cibo o acqua, per questo la disfagia può diventare causa di morte, anche se indiretta.
La disfagia coinvolge comunemente la fase orale e quella faringea, sebbene evidenze cliniche e anatomo-patologiche oggi indichino una significativa compromissione anche della fase esofagea della deglutizione. Il problema, almeno all’inizio, non determina disturbi severi della deglutizione, che rimane funzionalmente integra anche in presenza di anomalie. Le stesse anomalie, all’inizio, possono rispondere alle terapie farmacologiche specifiche della malattia di Parkinson (L-dopa e dopaminoagonisti), ma quando il quadro fisiopatologico investe i meccanismi automatico-riflessi della deglutizione, cioè la fase faringea e quella esofagea, non esiste assolutamente una responsività a tali trattamenti. In tali casi l’apporto di tecniche logopediche di compenso, la scelta di alimenti con adeguata consistenza modificata e la selezione di trattamenti locali, come l’applicazione di tossina botulinica allo sfintere esofageo superiore o la miotomia del muscolo cricofaringeo o, infine, come ultima risorsa, la gastrotomia endoscopica percutanea (PEG), possono rappresentare gli strumenti terapeutici più corretti.
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